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Barbara Spalinger: «L’ azione mi mancherà»

Congresso 2017: il presidente Giorgio Tuti omaggia come si deve la vicepresidente Barbara Spalinger

Ha inizio un nuovo capitolo non solo per Barbara Spalinger, ma anche per il SEV. La prima donna entrata a far parte della direzione sindacale, dove è rimasta per 18 anni, ripercorre la sua carriera: con i suoi modi affabili ci racconta le principali esperienze vissute, positive e negative.

La nostra chiacchierata si tiene nel suo ufficio a Berna, pochi giorni dopoil congedo dal comitato del SEV. Barbara lascerà ufficialmente il SEV a fine gennaio 2022, dopo ben 20 anni trascorsi nel sindacato.

Barbara, il 26 novembre il comitato ti ha inaspettatamente congedata. Davvero non l’avevi previsto?

No, è stata una vera sorpresa per me. Il filmato e le dichiarazioni degli attivisti mi hanno profondamente toccata; sono emersi così tanti ricordi comuni. Ad esempio il ballo del personale di manovra alla stazione di Zurigo nel 2014, ricordato da Danilo Tonina. È stata un’azione grandiosa che ripercorro con grande piacere!

Anche le dichiarazioni degli altri colleghi, personali e autentiche, mi hanno fatto davvero piacere. Questo filmato è stato un grande regalo per me: dimostra quante cose abbiamo vissuto e conquistato insieme.

Gilbert D’Alessandro ha ricordato quanto sei stata importante per la sua nomina a presidente centrale della VPT...

Non deve ringraziare me! Piuttosto il suo predecessore Kurt Nussbaumer, fondatore della VPT, che ha introdotto una struttura settoriale e ha spianato la strada per l’integrazione del Gatu, il Gruppo autonomo dei trasporti urbani. Il fatto che Gilbert, in qualità di attivista del Gatu, sia stato nominato nuovo presidente centrale dimostra in maniera inequivocabile la capacità di trasformazione della VPT.

Passando in rassegna i tuoi numerosi ricordi, quali sono i migliori e quali i peggiori?

Un periodo molto difficile per me è stato lo sciopero alle Officine nel marzo 2008. Sono stata presente a Bellinzona sin dal primo giorno di sciopero e ho scoperto che in questo ambiente le donne avevano un ruolo assolutamente secondario. Portavano semplicemente il cibo, mentre gli uomini tenevano i discorsi importanti. Pierre-Alain Gentil e Giorgio Tuti, ad esempio, erano costantemente presenti sui media, mentre a me nessuno ha mai chiesto nulla, nonostante fossi sempre impegnata come i miei colleghi. Abbiamo incessantemente ricercato possibili soluzioni, discusso con i colleghi sul posto, con le FFS, UNIA, i rappresentanti politici. Sono stata aggredita da varie parti ed è stato frustrante per me in questa situazione ritrovare i classici stereotipi di genere.

E tra i ricordi positivi?

I ricordi positivi prevalgono nettamente. I momenti più importanti hanno coinciso molto spesso con le discussioni all’interno delle sezioni o della conferenza CCL che precedevano le decisioni su temi delicati e controversi. Mi ha sempre reso molto orgogliosa vedere come funziona la nostra democrazia di base. Ma ricordo bene anche le crisi che hanno richiesto reazioni tempestive, come quella domenica in cui i giornali annunciarono l’imminente fallimento della CGN. Olivier Barraud aveva immediatamente comunicato al personale presente in quel momento sui battelli pieni di suonare forte la sirena e di arrotolare la bandiera svizzera alle ore 15.00. È seguita una mobilitazione esemplare, anche da parte del pubblico. Il risultato: la CGN esiste tutt’oggi.

Naturalmente ricordo anche le trattative andate a buon fine, ad esempio la «sentenza Orange» con cui si stabiliva l’obbligo di pagare le indennità pro rata ai collaboratori anche durante le vacanze. Per oltre un anno le FFS si erano fermamente opposte. Io avevo trovato undici macchinisti disposti ad andare in tribunale e l’effetto fu immediato: le FFS ci chiamarono dichiarandosi disposte a negoziare. Queste trattative in un gruppo ristretto durarono soltanto un pomeriggio: venne approvato il conguaglio per gli anni arretrati e i macchinisti ritirarono i ricorsi!

Sia Gilbert che Giorgio hanno ricordato la tua volontà di dare le dimissioni, ritirate dopo la morte di Pierre-Alain Gentil. Quali erano i motivi?

Quando François Gatabin lasciò il SEV, all’interno della direzione sindacale vennero ridistribuiti i dossier. Giorgio non voleva cedere le ITC e io avrei dovuto assumermi i dossier delle FFS. Io stessa allora ero responsabile dei temi trasversali. Mi sentivo senz’altro all’altezza di prendere in mano il dossier delle FFS, ma in quel periodo avrei dovuto dapprima dimostrarlo ai presidenti centrali. Non ne avevo voglia, ed è per questo che decisi di dimettermi e continuare a occuparmi del dossier sulla politica dei trasporti.

Ma poi hai cambiato idea...

Verso la fine dell’estate 2008, quando Pierre-Alain Gentil morì, Manuel Avallone era da poco entrato nella direzione sindacale. Giorgio mi pregò di rimanere per garantire una certa continuità e la necessaria esperienza in quella fase particolare. Alla fine mi convinse e così decisi di rimanere al mio posto.

Ti sei pentita di aver ritirato le tue dimissioni in quell’occasione?

Assolutamente no. Insieme a Giorgio, Manuel e Ruedi Hediger ho potuto portare avanti la prevista trasformazione del SEV. Il cambio generazionale era assolutamente necessario. Abbiamo raggiunto molti obiettivi, in particolare abbiamo ricucito la spaccatura che si era creata tra la direzione del sindacato e i presidenti centrali dopo il fallimento della fusione con l’allora sindacato Comunicazione, e abbiamo costruito nuove strutture. È stato un periodo entusiasmante e appassionante.

A proposito: se confronto adesso il SEV del 2001, quando ho iniziato come segretaria sindacale, con l’attuale SEV, noto moltissime differenze! È incredibile quanto tutto fosse diverso. Allora c’erano persone che credevano bastasse una telefonata tra il presidente del SEV e il capo delle FFS per risolvere tutti i problemi… Il modo di pensare era rigido, c’era molta burocrazia; si partecipava alle assemblee delle sezioni, ma non c’era una presenza sul territorio come avviene oggi.

Ricordo un’assemblea nella valle del Reno, in cui Hanspeter Eggenberger, scomparso quest’anno, aveva messo in dubbio l’utilità del mio contributo al SEV in quanto non avevo mai lavorato nella ferrovia. Credo che poi abbia capito quanto in realtà potessi fare; negli ultimi anni, tra l’altro, abbiamo collaborato in maniera molto proficua.

Perché sei entrata nel SEV?

Ho lavorato come giurista per il Cantone di Soletta, dove ho conosciuto Ernst Leuenberger. Ad un certo punto mi stancai di trattare la ponderazione degli interessi, ma volevo rappresentare gli interessi, motivo per cui sono passata al WWF Svizzera. Fu allora che ricevetti inaspettatamente un’offerta dal SEV: in quel periodo non esistevano praticamente segretarie sindacali e la Commissione donne premeva per averne una nella direzione. Questo lavoro mi ha molto interessato sin dall’inizio. Le trattative sulle condizioni di lavoro e i collegamenti con la politica costituivano per me una sfida entusiasmante. E in quanto ex pendolare da tempo mi stavano a cuore i trasporti pubblici.

Ritieni che il partenariato sociale sia cambiato?

Non sono più tanto sicura che il partenariato sociale sia percepito dal settore come un’opportunità, nonostante ora sia più necessario che mai. Chi ci considera solamente una «spina nel fianco» trascura il fatto che non fungiamo solamente da freno – il che talvolta è necessario – ma agevoliamo anche i cambiamenti. Solitamente abbiamo un atteggiamento molto costruttivo, ma naturalmente dobbiamo anche essere in grado di confrontarci in modo duro. È difficile spiegare ai datori di lavoro non molto avvezzi al partenariato sociale che non siamo noi a inventarci le richieste. E che ricopriamo dei ruoli e non operiamo su un piano personale. Alla fine bisogna nuovamente potersi guardare negli occhi. Se non si capisce questo fatto, tutto diventa più difficile.

Nei tuoi 18 anni come vice-presidente hai vissuto tante mobilitazioni e anche scioperi tra le ITC. Hanno avuto esito positivo?

Sì, perché se le trattative non portano a un risultato, a volte basta ricordare al datore di lavoro che sono i suoi collaboratori ad avanzare le richieste. Una volta capito questo, le cose funzionano meglio. Nei casi in cui ci sono state vere e proprie lotte per il lavoro, le trattative hanno sempre avuto successo, almeno in parte. Ricordo bene lo sciopero alla TPG nel 2014, soprattutto il momento in cui l’accordo negoziato è stato confermato dalla forza lavoro alle tre del mattino per alzata di mano. Un episodio davvero impressionante! Anche lo sciopero di Locarno, durato quasi tre settimane e molto impegnativo per il personale, è sfociato in un nuovo contratto. Ma chi sale sulle barricate deve anche saper scendere. Le nostre azioni devono comprendere sin dal primo giorno la ricerca delle soluzioni e il personale, ossia chi alla fine decide, deve avere voce in capitolo: un compito davvero molto impegnativo!

Il conflitto però può essere dietro l’angolo...

Poi abbiamo avuto situazioni conflittuali che non sono finite bene. Ad esempio quando il nuovo datore di lavoro della Bodensee-Schifffahrt ha modificato le condizioni di lavoro del personale da un mese con l’altro, apportando notevoli peggioramenti, saremmo dovuti intervenire e arrivare allo sciopero.

In tutte queste situazioni critiche c’è sempre un potenziale conflitto. E noi ci troviamo nel mezzo. Questo può essere molto faticoso, ma anche meraviglioso, perché alla fine la vicinanza ai nostri membri rende il lavoro entusiasmante e gratificante. Negli ultimi 18 anni non mi sono mai annoiata al lavoro!

Hai paura di annoiarti quando sarai in pensione?

No, anche se talvolta mi mancherà l’«azione». Al momento non so ancora quale tra le tante cose che ho trascurato negli ultimi anni vorrò fare per prima. Ma lo scoprirò presto!

Vivian Bologna

Commenti

  • Franco Luca

    Franco Luca 20/12/2021 11:04:19

    Un caro saluto e augurio a Barbara che ho avuto modo di conoscere in questi ultimi anni ed apprezzarne la capacità di gestione e mediazione, l'intelligenza e forza. Franco - SEV AS Ticino